Vernissage

sabato
4 ottobre 2025
ore 17:00

Periodo

dal 30 settembre 2025 al 31 gennaio 2026

da martedì a sabato
dalle 8:30 alle 24:00

Chiuso

dal 31 ottobre dalle 16:00 al 10 novembre 2025
dal 25 dicembre 2025 dalle 16:00 al 7 gennaio 2026
e giorni festivi

Nenets: anima della tundra 

“La tundra è la nostra casa e le renne la nostra vita.”

Nel cuore gelido della Siberia occidentale, dove l’inverno dura nove mesi e la terra sembra sospesa tra ghiaccio e silenzio, vive un popolo antico e resiliente: i Nenets. Il loro nome significa “esseri umani” e racconta il profondo legame con la natura e la vita stessa. Sulla penisola di Yamal, che nella loro lingua significa “la fine del mondo”, la sopravvivenza è un’arte quotidiana, plasmata da generazioni di armonia con la tundra e il suo animale sacro: la renna.
I Nenets vivono tra tundra e taiga, divisi in due gruppi principali: nomadi allevatori di renne e abitanti della foresta, cacciatori e pescatori. Per entrambi, la renna è fonte di cibo, trasporto, riparo e vestiario. I loro abiti tradizionali, fatti interamente di pelli di renna, sono studiati per resistere al freddo estremo della regione. La loro abitazione è il chum, una tenda conica di pelli di renna, capace di ospitare fino a dieci persone e costruita per proteggere dal vento gelido della tundra.
La vita dei Nenets segue i ritmi della natura, tra lunghe migrazioni di oltre mille chilometri e l’inverno senza sole, il temuto Kaamos. La loro conoscenza del territorio è straordinaria: si orientano senza bussole, seguendo i cicli naturali e gestendo con saggezza le mandrie di renne, animali che nella loro cultura sono “colei che dà la vita”. Ogni parte della renna viene utilizzata: dalla carne, che è l’unica fonte di vitamine in una terra senza frutta né verdura, alla pelle per abiti e tende, fino ai tendini e ai palchi. Le renne bianche sono sacre, simbolo di protezione e prosperità, e rappresentano un legame profondo tra uomo e natura. Oggi, questa cultura antica è minacciata dal riscaldamento globale e dallo sfruttamento industriale che mettono a rischio l’equilibrio fragile della tundra. Ma finché i Nenets cammineranno nella neve guidando le loro renne verso l’orizzonte, continueranno a testimoniare una delle forme di vita più autentiche e poetiche del nostro pianeta.
Perché sì, la tundra è la loro casa e le renne la loro vita.


L’eredità dei Berkutchi: uomini, donne e Aquile reali

La Mongolia vanta una lunga tradizione di allevamento estensivo. Nella provincia di Bayan-Ölgii, abitata per il 90% da popolazioni di etnia kazaka, si allevano imponenti mandrie di pecore, cavalli, capre, bovini e cammelli. Le capre, in particolare, rappresentano una risorsa preziosa: dal loro allevamento si ricavano latte, carne, lana e pelli.I pastori nomadi si spostano più volte l’anno alla ricerca di pascoli migliori. In questo stile di vita duro ma affascinante, l’intera famiglia – bambini e adolescenti compresi – partecipa al lavoro quotidiano, contribuendo alla sopravvivenza e alla continuità della comunità.È proprio qui, ai piedi dei monti Altai, che ho incontrato i Berkutchi, termine che in kazako significa “cacciatori con l’Aquila reale”. Sono uomini che, con infinita pazienza e dedizione, hanno saputo addomesticare a proprio favore le straordinarie qualità dell’aquila: il coraggio indomabile, la rapidità in volo, la vista acuta e i sensi sopraffini. Grazie a queste doti, il rapace è divenuto un compagno di caccia insostituibile. L’uccello prediletto è l’Aquila reale, chiamata Berkut, considerata la più intelligente, potente e aggressiva. Le origini di questa pratica venatoria si perdono nella notte dei tempi. Fu adottata per la prima volta dalle popolazioni nomadi delle steppe dell’Asia Centrale e, in seguito, si diffuse in altre parti del mondo. Nella cultura nomade l’impiego dell’aquila ebbe un ruolo centrale: la caccia con l’Aquila reale creava un legame profondo tra l’uomo, la natura e le forze soprannaturali. La caccia non rappresentava soltanto un mezzo di sussistenza, ma rifletteva una visione filosofica dell’esistenza: un equilibrio tra bene e male. L’aquila era considerata un potente simbolo spirituale, oggetto di culto e venerazione. I Berkutchi e i loro rapaci godevano di grande rispetto e venivano celebrati con canti e danze. L’addestramento di un berkut è un cammino lungo e complesso. Pazienza, perseveranza e amore sono qualità indispensabili per conquistare la fiducia del rapace. I segreti di questa pratica si tramandano da generazioni, custoditi come un patrimonio prezioso. Per secoli i Berkutchi sono stati uomini che addestravano aquile per la caccia sugli Altai. Oggi, però, nuove tradizioni stanno nascendo: sorprendentemente, anche le donne stanno conquistando un ruolo in questa antica arte.

Biografia

Alessandra Meniconzi è una fotografa svizzera profondamente affascinata dalla vita e dalle tradizioni dei popoli indigeni che abitano le regioni più isolate del mondo. Per lei, scrittura è fotografia: ogni immagine diventa una parola che arricchisce il racconto della loro storia. Il suo lavoro esplora il patrimonio ancestrale, i costumi, la spiritualità e la quotidianità di comunità intimamente legate alla terra, le cui culture tradizionali rischiano di scomparire sotto la pressione della modernità. Per molto tempo ha viaggiato nelle aree più remote dell’Asia, documentando minoranze etniche e usi ancestrali. In seguito ha esteso il suo sguardo alle regioni artiche e subartiche, oggi minacciate dai cambiamenti climatici, dallo sviluppo incontrollato e dallo sfruttamento delle risorse naturali.

Le sue fotografie hanno trovato ampia diffusione su riviste, giornali, calendari, cartoline svizzere e internazionali, nonché in volumi fotografici di cui è stata unica autrice. Tra le sue pubblicazioni più importanti si ricordano The Silk Road (2004), Mystic Iceland (2007), Hidden China (2008) e QTI – Alessandra Meniconzi, Il coraggio di esser paesaggio (2011). Ha vinto numerosi concorsi fotografici internazionali, tra cui il National Geographic Travel Photographer of the Year, il Siena International Photography Awards (SIPA), il Sony World Photography Awards e il Drone Photo Awards, con opere dedicate a popoli, paesaggi e tradizioni delle regioni più remote del mondo. Fino al 2020 ha fatto parte del Canon Europe Ambassador Programme, riconosciuta come Canon Ambassador. Da qualche anno collabora con Fujifilm Switzerland nel settore del medio formato digitale.

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