Vernissage

Martedì
4 settembre 2018
ore 18:00

 

Periodo

dal 4 settembre al 27 ottobre 2018

da martedì a sabato
dalle 8:30 alle 24:00

CHIARA ZOCCHETTI INIZIA IL SUO PERCORSO

di Viviana Viri

Chiara Zocchetti inizia il suo percorso fotografico mettendosi sulle tracce dell’abbandono tre anni fa: “Cerco di immortalare la bellezza che trovo nella decadenza di questi luoghi”. Con le sue fotografie desidera mostrare il passare del tempo, in senso concreto. Il tempo tangibile. L’azione della natura sulle cose. Nelle sue fotografie il richiamo del tempo che passa è costante, la polvere che si accumula, i muri che si sgretolano, il legno che invecchia, l’azione della pioggia. “Mi affascina che in questi luoghi non ci sia nessuno; l’assenza umana nelle foto è una scelta voluta: voglio che si respiri una presenza che non c’è più, non in senso esoterico, ma nostalgico. Storie di vite umane passate, che lasciano le loro tracce, ma che noi possiamo solo supporre.
Mi piace poter immaginare come potevano essere le feste da ballo, la gente elegante piena di lustrini, le maschere, il suono dell’orchestra: un mondo che si sta perdendo sempre più”. Il suo interesse per i luoghi dell’abbandono è diventato come una dipendenza tanto da spingerla a visitare le diverse facce di questa realtà: manicomi, ospedali, ville, alberghi, discoteche, teatri, cinema, fabbriche; prevalentemente in Italia, ma anche nel resto dell’Europa.

STORIA DI DECLINO E POLVERE

di Carlo Silini

C’è chi impegna il proprio tempo libero al cinema, al museo o in discoteca e c’è chi – come Chiara Zocchetti, di professione fotoreporter – lo trascorre in ville, alberghi, manicomi, ospedali, teatri e fabbriche tutti rigorosamente abbandonati.
La sua passione è immortalare l’insospettabile spettacolo del decadimento architettonico: pareti scrostate, attraversate da reticoli di crepe o da aloni verdi d’umidità e rossi di ruggine; pavimenti coperti di mobili sfaldati, fogli sparsi, antiche e ormai inutilizzabili macchine del lavoro, soffitti sfondati che ti permettono di guardare il piano di sopra e a volte direttamente il cielo. Gli edifici che predilige sono monumentali e nei tempi in cui erano abitati dovevano essere sfarzosi. Anche questo impressiona guardando i suoi scatti: la sensazione di osservare vecchi giganti caduti nell’oblio.
La luce, nelle sue fotografie, è quasi sempre soffusa e permette di cogliere al meglio l’infinita gamma di sfumature cromatiche dei piccoli universi chiusi che rappresenta. Tutto è preciso nelle sue inquadrature: le linee dritte e la pulizia dell’immagine, cornice esteticamente esaltante per accogliere il caos generato dal disfacimento, dal lavorio silenzioso e implacabile del tempo sulle cose, dal ritorno prepotente di madre natura, che si riappropria degli edifici con le sue muffe, i suoi rovi, gli insetti e le sue edere dentro il regno perduto costruito dagli umani.
Foto di cose morte, quindi? Tutt’altro: “A me – dice l’autrice – piace il fatto che questi ambienti ti lascino ancora intravedere la gente che ci ha vissuto, ma che oggi non c’è più”. È una storia di presenze invisibili più che di assenze, quella che raccontano i suoi scatti, spesso sorprendenti, capaci di cogliere il bello dell’ordine perduto e nello stesso tempo la baraonda della materia abbandonata a sé stessa e al prorompere degli elementi naturali ai quali tutto torna: ogni sogno, ogni vita, ogni splendore e ogni magnificenza
umana. Quelle immagini così distanti dalla frenesia quotidiana, dall’ordine costituito della società viva e pulsante ci colpiscono per contrasto, ma anche perché ci ricordano che siamo polvere di gloria sospesa nel tempo.

Biografia

Chiara Zocchetti

Chiara Zocchetti è nata a Sorengo nel 1986. Originaria di Melano ha frequentato asilo e Scuole Elementari a Comano e le Scuole Medie a Trevano.
Vive a Comano.
Si è avvicinata alla fotografia nel 2012 frequentando i corsi per adulti del Cantone con la docente Michela Manzolini. Attualmente lavora come fotografa presso il Corriere del Ticino.

Vernissage

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Ticino News, 28.08.2018
Il Mattino della domenica, 2.09.2018
La rivista di Lugano, 21.09.2018
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